ROBERTO DANI
Mantova | Teatro Magro | 20 Maggio
Con gesto incerto accogliere ed accudire il silenzio, assecondarlo percorrendo le sue invisibili vibrazioni ed iniziare un rispettoso serrato dialogo che coinvolge l’essenza stessa della sua materia. Un dialogo che trasmuta, avvolge e invade. Un confronto che prevede il coinvolgimento totale del corpo inteso come oggetto proteiforme, capace di faticosa intimità espressiva e sonora. Roberto Dani, a chiusura di una rassegna contemporanea di rilievo che si è svolta a Mantova, al Teatro Magro. Un luogo altro, nero cubo avvolgente nel quale la performance del musicista (termine assai riduttivo) vicentino, batterista e ricercatore ai massimi livelli, ha trovato giusta espressione. Una storia musicale iniziata in età giovanile con il pomposo rock progressivo dei Devil Doll sfociata poi in decine di collaborazioni con i maggiori esponenti del mondo musicale e artistico di ricerca a livello internazionale. A Mantova Dani si è esibito in “Solo”, una performance totale che ha coinvolto il suono, la gestualità e con essa lo spazio, riuscendo a dare forma visibile ad un viaggio in solitaria dentro l’arte dell’improvvisazione sperimentale. Un dialogo costante, come si accennava all’inizio, attraverso l’uso di uno strumento nato per donare il ritmo e cadenzare il tempo, verbi che perdono significato quando la batteria viene ripensata e trasformata in veicolo grazie al quale compiere un viaggio ben oltre i confini della ‘semplice’ percussione. Batteria preparata e zitra, archetti, cimbali, oggetti comuni, ogni cosa è suono, non esiste luogo dal quale non si sprigioni. Lo stesso movimento del corpo, il suo respiro, gli oggetti teatralmente spostati, percossi, strofinati, sfiorati, ogni cosa è fonte di informazioni sonore. Un percorso duro e faticoso che coinvolge il corpo e lo spazio che lo accoglie. Un tragitto che inizia lento, sulla soglia dell’indistinto. Vibrazioni, timido scambio appena accennato tra uomo e infinito che lo circonda, essenzialità minimale che prende forma soffermandosi appena sull’unica superficie melodica offerta dagli scarni accordi dell’antica zitra accolta sopra l’anomala batteria, esplosivo strumento altro capace di trasformare l’iniziale e silenziosa reverenza in feroce confronto. Dissonante violento gesto concettuale e fragore voluto, cercato, esposto in un crescendo che avvicina sempre più l’uomo alla fonte primaria. Tutto sfugge dalle mani, gli oggetti atti a provocare il suono vengono lanciati oltre il perimetro della sorgente, rimangono solo le dita che strisciano, accartocciano, pizzicano, battono la pelle tesa di una creatura che ora si è palesata in tutta la sua invisibile potenza. Poi nuovamente il silenzio e il lento riverbero del metallo accarezzato con spigolo di arto superiore, mentre lentamente ci si allontana con movimento concentrico dalla radice per scomparire avvolti nell’essenza oramai raggiunta.
Mirco Salvadori